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martedì 6 novembre 2012

Londra può attendere. (Le notti insonni di una au pair mancata all'aeroporto di Stansted)



E' durata una settimana. 
Mai avrei immaginato una simile disfatta, eppure è esattamente questo il termine più appropriato per descrivere quella che è stata la mia (dis)avventura londinese. Premetto che Londra l'ho vista solo in cartolina!
Ma partiamo dal principio. La sera della partenza ero praticamente il fantasma di me stessa... diedi un esame all'università proprio quella stessa mattina e, reduce da una nottata di studio matto e disperatissimo (senza contare lo stress dei preparativi), il mio stato psico-fisico somigliava molto a quello di uno zombie appena investito da un tir.
Versavo in uno stato di coma vigile (ma neanche tanto) in cui l'unica cosa che riuscivo a percepire chiaramente era un certo oscuro presentimento...
Ad ogni modo, trovato posto sull'aereo, cercai di schiacciare un pisolino sul comodissimo (!) sedile della Ryanair, ma il baccano di un gruppo di ragazzotti alle mie spalle non mi fece chiudere occhio per tutto il tempo...in compenso riuscii a rilassarmi un po' e a farmi 2 sane risate al ritmo delle loro spassose battute in romanesco, nonostante la stanchezza.
Sapevo già che avrei dovuto trascorrere la notte all'aeroporto di Stansted e più si avvicinava il momento dell'atterraggio più saliva l'ansia del dover trascorrere la mia prima notte da sola, in un aeroporto, e per giunta in un paese straniero. La prima cavolata che feci fu quella di perdere tutto il gruppo che era con me sull'aereo, perché non appena atterrata, mi diressi verso una toilette e all'uscita non trovai nessuno, ero in un ambiente completamente deserto e a parte me non c'era anima viva...pensai...ma dove sono gli altri? Dove si ritira il bagaglio??? Che cavolo di aeroporto è questo??? Finalmente incrocio delle persone, spaesate quanto me, e dopo una serie di giri a vuoto (fra cui anche una corsa in salita sulle scale mobili che scendevano) capimmo che dovevamo prendere il treno al di sotto delle scale mobili. In effetti non era così complicato, ma vuoi l'ansia, vuoi la stanchezza, vuoi la mia intrinseca imbranataggine, ci misi un po' a capire come funzionava quell'aeroporto.
Una volta arrivata a destinazione, intorno alla mezzanotte, ritirai il bagaglio (l'ultimo rimasto sul nastro trasportatore) e mi precipitai a fare il biglietto per il viaggio del giorno seguente  all'agenzia dei bus National Express interna all'aeroporto, miracolosamente ancora aperta nonostante l'ora tarda. 
Notai che le poltroncine azzurre erano già tutte occupate (come immaginavo) e trascorsi la nottata fra un angolo e l'altro del duro e freddo pavimento in marmo dell'aeroporto. Eh sì, se c'è una cosa che ricorderò per sempre di questo viaggio è il pavimento dell'aeroporto di Stansted! 




Osservai per tutta la sera il viavai di gente intorno a me, e le persone, soprattutto giovani e backpackers da ogni parte d'Europa, che dormivano stese sul pavimento nelle posizioni più assurde...potevi trovare l'intera varietà umana stesa lì su quel pavimento! 




Ogni tanto cercavo di origliare qualche conversazione fra viaggiatori solitari come me, sperando che qualcuno mi chiedesse qualcosa... ebbene sì, nonostante non dormissi da più di 24 ore avevo voglia di parlare con qualcuno, specialmente con la ragazza inglese backpacker accanto a me che aveva l'aria di una viaggiatrice esperta e con tante storie da raccontare. Purtroppo aveva già passato gran parte della serata a chiacchierare con un altro ragazzo italiano e, dopo che questo andò via, crollò sfinita sul suo bagaglio lanciandomi un timido sorriso d'intesa. C'erano tantissimi italiani, e molti tifosi con sciarpe della Fiorentina e della Juventus (!)
Fu una notte lunghissima, ero sfinita, e nonostante ciò non riuscii a dormire nemmeno 10 minuti. L'unica volta che ci provai sul serio, e dopo aver girato tutto l'aeroporto alla ricerca di un angolo di pavimento pulito e tranquillo, venni svegliata da un vigilantes che mi chiese di spostarmi da un'altra parte.
Non mi sentivo bene per niente, faceva freddo e il brutto presentimento si faceva via via più forte.
Avevo l'autobus alle 6.15 e alle 5.00 ero già alla fermata del bus, davanti all'aeroporto (uscita aeroporto, sinistra, scendere per una rampa, di nuovo sinistra). 
La seconda cavolata che feci fu quella di non andare per l'ennesima volta in bagno prima di partire. Furono le 3 ore (sì, avete capito bene...3 ore di viaggio in autobus!)  più lunghe e sofferte della mia vita... l'alternativa sarebbe stata quella di scendere in qualche fermata intermedia per andare in bagno e prendere un altro bus (facendo un altro biglietto), ma ero terrorizzata dall'idea di scendere in mezzo al nulla, non sapendo quando ci sarebbe stato il prossimo autobus, e così la trattenni...ancora 5 minuti e sarei esplosa! 
E meno male che ero nella civilissima Inghilterra! 
Il National Express non aveva il wc a bordo e non si fermava per permettere ai viaggiatori di andare in bagno, nemmeno per viaggi di 3 ore o più...pazzesco!
Oltretutto ero anche costretta dalla cintura di sicurezza che il simpatico (!) conducente ci invitò ad allacciare. 
Quindi, se vi capita di dover prendere lo stesso bus per un viaggio così lungo, attrezzatevi con un pannolone! 
Una volta giunta a destinazione la prima tappa fu il bagno di una stazione degli autobus, manco a dirlo...una pipì lunghissima, non ho mai urinato così tanto in vita mia, non dimenticherò mai quegli istanti. 
Dopo una ventina di minuti, ecco che arriva la Signora X a prendermi con la sua Renault Picasso con cambio automatico e i tre pargoli a bordo...e qui inizia la (dis)avventura. 
Dopo un piatto di pasta, e dopo aver dormito fino alla mattina successiva, saltando anche l'invito per cena, inizio a prendere coscienza dei problemi. 
Il posto era lontanissimo dalla città, lontanissimo dalla più vicina fermata di autobus, lontanissimo dal primo centro abitato...insomma, isolato e lontanissimo da tutto.
Ero in una villa circondata da un giardino enorme e io avevo tanto di dependance, eppure mi sentivo come Robinson Crusoe sull'isola deserta. 
Nei dintorni, solo un antico cimitero e un ranch di vacche!
Come diavolo avrei fatto a frequentare un corso d'inglese? 
Come potevo resistere 3 mesi senza avere la possibilità di spostarmi liberamente, di fare amicizia, di uscire il sabato sera...come???
Come compagnia, avevo solo una tv malfunzionante e una radio d'epoca (guasta). Mea culpa: non mi ero informata a sufficienza prima di prendere la decisione di partire e mi sono fidata ciecamente di quella strega amica di mia madre.
La Signora X era un tipo piuttosto freddino, sempre indaffarata e alle prese con 1000 cose, un po' isterica e con la sindrome dell'artista incompresa. 
Il marito era sempre lontano per lavoro e tornava a casa giusto per il weekend... guarda caso era anche l'unico a possedere la password per connettersi alla rete domestica, e lei, per qualche strana ragione a me ignota, era impossibilitata a richiedergliela per telefono, e così mi chiese di fare a meno della connessione almeno fino al ritorno del Signor X (tragedia!). Trascorsi dei giorni d'inferno...il cibo che mi passavano era veramente poco, sarebbe stato poco anche per una modella anoressica, e io non potevo nemmeno provvedervi da sola non essendoci supermercati nelle immediate vicinanze! 
Inoltre, dovevo fare i conti con la guida inglese... un disastro totale! 
Ho rischiato più volte l'incidente ed ero terrorizzata all'idea di dover essere responsabile per l'incolumità di quelle povere ed innocenti creature. 
E anche ammesso di saper guidare, la Signora X non mi avrebbe mai prestato la sua macchina per farmi i fatti miei! Potevo prenderla solo per accompagnare i figli a scuola, perché, giustamente, la macchina serviva a lei.
Per spostarmi avrei dovuto di volta in volta chiederle di accompagnarmi alla fermata dell' autobus più vicina. 
Ero in tutto e per tutto dipendente dalla Signora X.
Il colpo di grazia fu la febbre, un febbrone da cavallo con tanto di mal di gola sopraggiunto dopo una passeggiata in un parco cittadino. Fui costretta a letto per ben 3 giorni, durante i quali non ricevetti nessuna assistenza da parte della Signora X... nemmeno da mangiare!!! Non potevo crederci, non potevo credere di essere capitata in mezzo a persone così meschine. Per fortuna (!) avevo ancora 2 panini induriti alla mortadella preparati da mia madre il giorno della partenza e che erano ancora in parte commestibili. Una sera, raccolsi tutte le forze che mi erano rimaste per uscire dalla dependance e andai a prendere qualcosa per preparare una minestra dalla dispensa della Signora X, intrufolandomi in casa sua come una ladra (fu uno dei bimbi ad aprirmi la porta)... nell'ordine: una cipolla rinsecchita, una carota, dei minuscoli pomodorini e spaghetti (che sminuzzai per farne una pastina). 
Una situazione kafkiana!
Ero sola, malata e affamata, e volevo solo tornare a casa mia. 
Ero in preda ad attacchi di panico e mi sentivo come rinchiusa in un carcere... la Signora X, una pazza da legare, si fece viva soltanto per comunicarmi che era delusa dal fatto che non avevo preparato la colazione ai bambini (con 40° di febbre!). In confronto a lei i bambini erano dei veri angeli, troppo teneri! Una mattina entrarono nella mia dependance con in mano delle fettine di prosciutto cotto chiedendomi se avevo fame :))))))
Da qui la decisione: non sarei rimasta un giorno di più in quella prigione! 
Il mio ragazzo (santo subito!) mi prenotò un volo di ritorno, di nuovo da Stansted, con tanto di nottata all'aeroporto inclusa! 
Cercai di impietosire quell'acida della Signora X, la quale era troppo occupata perfino per permettermi di stampare la carta d'imbarco (fortuna che era appena soppraggiunto il Signor X, decisamente più gentile e umano della moglie...), con una tipica sceneggiata napoletana e un pianto disperato, buttandola su presunti problemi di salute (il tutto per riuscire a strapparle almeno un passaggio in macchina fino alla fermata dell' autobus, dato che la STRONZA voleva pure che mi pagassi un taxi), e così affrontai un nuovo estenuante viaggio di 3 ore in autobus e un'altra estenuante notte sul pavimento dell'aeroporto London Stansted. 
Non mi ero ancora ripresa del tutto dalla malattia, avevo mangiato pochissimo ed ero emotivamente provata da quell'esperienza nefasta. Continuavo ad avere assurdi attacchi di panico, come la paura di perdere l'aereo o la carta di identità e, come se non bastasse, incontrai una comitiva di ragazzi italiani (che riconobbi grazie alla suoneria del Pulcino Pio...) che mi terrorizzò con dei racconti inquietanti di gente bloccata in aeroporto. 
Iniziai a intravvedere la luce in fondo al tunnel quando verso le 5.30 di mattina vidi su un tabellone la scritta "gate open" in corrispondenza del mio volo. Una volta imbarcato il bagaglio, e passati tutti  i controlli, sentii che l'incubo stava per concludersi e tirai un sospiro di sollievo, trovando anche il tempo di fare un piccolo acquisto al duty free....il soldatino inglese che avevo promesso al figlio dei miei vicini di casa e a cui spesso faccio da baby sitter. 
Dopo un'attesa di circa un'ora, all'avviso di imbarco,  presi di nuovo il treno che portava fino alla pista di decollo e, una volta a bordo, mi sentii finalmente in salvo! Tra me e me non potei far a meno di esclamare "INGHILTERRA...??? PRRRRRRRRRRR...!!!!"


In compenso ho scoperto di avere il famoso "sesto senso" e che probabilmente avrei fatto molto meglio a seguirlo!
Sarà per la prossima...

Goodbye England!